mapi_littleowl: (FMA - Hughes/Roy)
[personal profile] mapi_littleowl
Titolo: Imbarazzanti malintesi
Fandom: Fullmetal Alchemist
Personaggi: Jean Havoc, Roy Mustang, Signora Havoc
Pairing: Havoc/Roy
Rating: PG, perché la mia beta ha insistito. In realtà è G
Conteggio Parole: 4219 (Fidipù)
Challenge: [livejournal.com profile] bingo_italia
Prompt: Conoscere parenti e/o amici
Riassunto: Roy deve incontrare la madre di Havoc in veste non di suo superiore, ma di amante. O no?
Note: Ma la fatica. XD Non ricordo più neanche quando ho iniziato a scriverla, questa fic… È che io e le sequenze dialogate troppo lunghe palesemente non andiamo d'accordo. .__. XD Comunque. Niente. Ho voluto mettere insieme una cosetta che non fosse troppo il classico cliché-con-l'album-delle-foto, e quindi mi è venuta in mente questa stupidaggine. Povero Roy. XD
Ringraziamenti: A [livejournal.com profile] sonia_sama, la mia preziosissima cavia cavia da laboratorio. *_*
Spoiler: Capitolo 108
Disclaimer: Mucca-san no. ♥
Warning: Shounen Ai



Roy si appoggiò comodamente contro lo schienale della sedia, allungando le gambe sotto il tavolino del bar, e lasciò vagare lo sguardo tra le altre sedie e gli altri ragionevolmente numerosi clienti del locale, tutti invariabilmente impegnati a sorseggiare bevande analcoliche, spiluccare stuzzichini, chiacchierare e, in genere, a fare tutte quelle cose che ci si aspetta di veder fare da un branco di persone qualunque riunite a caso in un locale durante l'ora dell'aperitivo.
Tutto sommato, pensò, stringendosi nelle spalle, la vista non era davvero un granché. Ragazze, poche; quelle carine ancora meno, soprattutto adolescenti, uomini sgusciati via dall'ufficio e matrone troppo truccate e dall'aria penosamente annoiata – fatta eccezione per il gruppo starnazzante che si era accaparrato il tavolino in fondo, sotto l'ombrellone e di fianco ai grandi vasi di fiori: infestato dagli insetti, sì, ma ideale per lanciare occhiate ai passanti e spettegolare di abiti e cappellini alla moda e oh, mio Dio qualcuno deve spiegarmi come un bell'uomo del genere possa uscire con un mostro come quella.
Roy sbuffò, incrociando le braccia al petto mentre, spostando lo sguardo sul gruppo di baldi giovani dalla parte diametralmente opposta del locale, si domandava cosa diavolo ci facesse lì e perché non avesse ancora sollevato i tacchi per andarsene. Anche perché, onestamente, quella situazione iniziava ad essere davvero ridicola.
Seppur controvoglia, si decise a spostare lo sguardo alla sua destra dove Havoc, chino sul posacenere come se fosse la sua ultima ancora di salvezza, stava fumando forse la quindicesima sigaretta da quando erano arrivati lì. Cioè poco più di una ventina di minuti. Aggrottò le sopracciglia nella sua direzione e piegò le labbra in una smorfia risentita, scoccandogli un'occhiataccia: «Non capisco se stai cercando di suicidarti, con tutte quelle sigarette, o di uccidere me attraverso il tuo fimo passivo.» E, prima che l'altro ebbe solo il tempo di voltarsi nella sua direzione, aggiunse: «Ma in qualsiasi caso, smettila immediatamente, perché altrimenti giuro che me ne vado.»
Havoc lo guardò, gli occhi grandi e spalancati, mentre la sigaretta mezza consumata gli pendeva ancora fumante e inerte tra le labbra, rischiando quasi di cadere sulla tovaglietta candida. Roy, colto da un improvviso attacco di stizza, sbottò, prendendo la sigaretta tra le dita e spegnendola nel posacenere come se stesse schiacciando un insetto – o la testa dell'uomo seduto accanto lui, considerando come lo stava fissando. Havoc distolse lo sguardo, cominciando a tamburellare con le dita sul tavolino: «Mi dispiace,» mormorò, stringendosi nelle spalle. «Sono solo un po' nervoso.»
Roy inspirò a fondo, imponendosi calma e, come atto di fiducia nei suoi confronti, tornò ad appoggiarsi contro la sedia, le braccia incrociate sul petto e una gamba accavallata sull'altra all'altezza della caviglia.
«Se avevi dei dubbi, tanto valeva non venire.»
Havoc sospirò, incrociando le dita sulla tovaglia. «Mamma ci teneva tanto.»
Calò il silenzio di nuovo, appesantito dagli sguardi che non volevano incontrarsi, e Roy si trovò a domandarsi per l'ennesima volta perché mai si fosse lasciato convincere. All'inizio gli era parso che Havoc tenesse veramente a quell'incontro, così tanto che non aveva fatto altro che parlargliene per settimane, ad ogni occasione possibile, infilandolo di soppiatto in tutte le conversazioni che facevano, tanto che alla fine si era quasi sentito costretto a dirgli che, sì, anche lui pensava fosse venuto il momento di conoscere i suoi come si deve – i suoi che si erano trasformati in sua madre nel giro di un paio di giorni, perché, capisce, non credo che mio padre sia pronto per una cosa del genere – ma adesso, più lo guardava, più aveva come la sensazione che si sentisse quasi costretto a rimanere lì e che, se avesse potuto, se la sarebbe data a gambe levate non appena lui avesse voltato lo sguardo.
Si lasciò scappare l'ennesimo sospiro e, cercando di assumere l'espressione e il tono più concilianti di cui fosse capace si chinò un poco verso di lui, sussurrando: «Via, di cosa ti preoccupi? Andrà tutto bene.»
Havoc non rispose e lui, deciso a non arrendersi, si costrinse ad abbozzare una risata: «Andiamo, non dovrei essere io quello che entra nel panico, mentre tu continui a ripetermi che, ne sei certo, tua madre mi adorerà?»
Havoc annuì, timidamente. «Sì, lo so. Però...»
«Hai detto che le hai spiegato tutto quanto, no? Quindi sa già che cosa deve aspettarsi.»
«L'ho fatto,» sbottò, sulla difensiva. «Solo che, ecco... Questa è la prima volta.»
Roy lo fissò per un momento, le labbra serrate ed un sopracciglio che tendeva pericolosamente ad inarcarsi. «Be', immagino che lo sia. Non è decisamente quel genere di cosa che capita tanto spesso, ma visto che siamo qui…»
Havoc scosse il capo e lo interruppe: «No, non si tratta di questo. Be', non solo di questo.» Deglutì. «Vede, il fatto è che io, insomma, il punto è che non ho mai presentato una ragazza a mia madre, prima d'ora. È per questo che sono così nervoso.»
Roy sentì la palpebra scattare in un moto di stizza alla parola ragazza, ma non disse nulla per evitare altre complicazioni in quella conversazione già impossibile di per sé. Serrò la mascella per un momento, prima di ritrovare la calma. «Sarà, ma non è certo la fine del mondo. Non dicevi prima che era lei a tenerci tanto? Te l'ho detto, andrà benissimo. Ci limiteremo a bere caffè mentre parliamo del più e del meno, del lavoro, di te di quando eri bambino e, alla fine, ci saluteremo cordialmente con la speranza che presto ci sia una prossima volta. Con tuo padre, magari,» buttò lì, sperando che Havoc non la prendesse come scusa per tornare a dare di matto. Lo studiò con la coda dell'occhio e, quando vide che la sua provocazione non veniva raccolta ma, anzi, sprofondava direttamente dentro la pelle buttandolo in uno stato al limite del comatoso sospirò, nascondendo il viso nella mano.
Eppure non era andata così male, quando lo aveva portato a conoscere Madam Christmas. Insomma, sua zia lo aveva fatto imbarazzare da morire, così tanto che Havoc era uscito dal locale con le orecchie viola, ma in compenso non c'erano state occhiate strane, silenzi calcolatamente lunghi e camminate avanti e indietro dietro al bancone per mascherare il nervosismo – sì, a volte era davvero una fortuna avere solo una donna come quella, come unica parente prossima.
Certo, non si immaginava che la madre di Havoc fosse il tipo da piazzargli un martini sotto il naso mentre gli domandava fino a che punto si fossero spinti in camera da letto e chi dei due fosse generalmente attivo, ma l'aveva vista solo un paio di volte, in ospedale e anche in seguito, alcune settimane dopo il suo reintegro nella squadra, e l'opinione che ne aveva avuto era che fosse una donna complessivamente tranquilla, gentile, piuttosto affettuosa e che mai e poi mai avrebbe finito col tirare una tazza di caffè bollente in faccia all'amante di suo figlio. Il che, dal suo punto di vista, era molto più di quanto generalmente si potesse sperare.
Ad un certo punto, sentì Havoc agitarsi al suo fianco mormorando qualcosa che non riuscì ad afferrare e, più infastidito che preoccupato, voltò la testa dalla sua parte per poi spostare lo sguardo nella direzione in cui era puntato il suo. E, quando vide ciò che stava guardando lui, sentì il sangue gelarsi nelle vene. Eccola.
Deglutì, mentre non riusciva a staccare gli occhi dalla figura della donna che, a passi corti e regolari, si avvicinava al locale, il viso illuminato da un sorriso di cortesia che si allargò ancora di più quando li individuò tra i vari tavolini. Sollevò una mano per salutarli ed entrambi, quasi senza ragione, scattarono in piedi quando lei superò due grandi vasi di fiori che delimitavano lo spazio riservato ai tavoli del locale.
«È arrivata,» sussurrò Havoc, a voce troppo bassa perché chiunque potesse sentirlo.
«L'ho vista,» rispose, con lo stesso tono.
«Si sente bene?»
Roy chiuse gli occhi per un brevissimo istante, ringraziando qualsiasi divinità esistente fosse in ascolto in quel momento, perché appena Havoc aveva posto la sua domanda, la donna era arrivata proprio davanti a loro, impedendogli di fatto di dargli la risposta che gli era subito balenata nella mente: Ma neanche per idea.
«Jean! Ciao, caro.»
«Mamma,» la salutò a sua volta, troppo terrorizzato per muoversi mentre lei allungava la mano verso Roy. «Buona sera, signor Mustang.»
Lui afferrò la sua mano e la strinse, facendola oscillare dolcemente. «Buona sera. E, la prego, Roy andrà benissimo.»
La donna sbatté un paio di volte le palpebre e poi annuì. «Va bene, allora, Roy,» disse, leggermente in imbarazzo, e si sedette, subito imitata dai due uomini; si aggiustò le pieghe della gonna con entrambe le mani, senza distogliere per un solo momento lo sguardo da Roy. «Sa, sono veramente contenta di fare la sua conoscenza, finalmente.»
Lui sorrise, chiedendosi mentalmente se lei si sarebbe accorta di qualcosa, se lui avesse fatto un gran sospiro. «Le posso garantire che il piacere è completamente mio.»
«Jean mi ha sempre parlato tanto e tanto bene di lei.»
Roy arrossì appena, appuntandosi mentalmente che avrebbe dovuto pretendere da Havoc i dettagli di quelle conversazioni. «Anche io ho sentito molto parlare di lei,» rispose, più per cortesia che per altro, sperando di non essere costretto a farle sapere che, in realtà, tutto quello che sapeva di lei lo aveva intuito da solo e che suo figlio l'aveva nominata per la prima volta quando era iniziata quella ridicola faccenda dell'incontro con le rispettive famiglie.
La donna sbatté di nuovo le palpebre, arrossendo appena. «Santo cielo, dice davvero?»
Roy aprì la bocca per parlare, ma la richiuse subito, stupito non tanto dalla domanda quanto dal tono della sua voce e dall'espressione che aveva in volto. «Sì, certo. Spesso, anche,» mentì, sperando in quel modo di tranquillizzarla, ma la donna si accese quasi di un colore violaceo, mentre si voltava a guardare suo figlio: «Ma Jean!» gridò, quasi, e il ragazzo spalancò gli occhi, arrossendo fino alla punta delle orecchie. Poi, tornò a volgere lo sguardo verso Roy: «La prego, non vorrei che lei pensasse che Jean sia un mammone, o qualcosa del genere.»
«Mamma!»
«In realtà non lo è,» gli garantì, accalorata. «Proprio per niente, posso garantirglielo.»
Roy si schiarì la voce nel pallido tentativo di coprire un risolino. «E io posso garantire a lei che non penso affatto che lo sia, signora.»
«Certo, mi scusi,» disse lei, tentando di stiracchiare un sorriso. «È che, vede, mi suona così strano che lui parli di me in questo modo, specie con un suo superiore.» Roy inarcò un sopracciglio, ma non disse nulla. La donna continuò: «In effetti è anche strano che mi abbia parlato molto di lei: non mi dice mai niente, né sul suo lavoro, né sulle sue ragazze – non guardarmi a quel modo, Jean, sai che è vero.»
Roy trattenne un altro risolino. «Sì, l'ho saputo.»
«È per questo che sono felice di poterla conoscere, Roy. Vuole essere lei così gentile da dirmi qualcosa su ciò che fa Jean al lavoro?»
Roy, cercando di essere il più discreto possibile, lanciò ad Havoc un'occhiata eloquente come per dirgli Vedi? Parleremo del lavoro, te l'avevo detto e poi si voltò di nuovo verso sua madre, un sorriso disteso sulle labbra: «Certo che sì, mi chieda pure tutto quello che vuole. Nel frattempo,» aggiunse, indicando con lo sguardo il cameriere che era appena giunto alle sue spalle, «ordina qualcosa?»
La donna si voltò brevemente. «Oh, la ringrazio, sì. Un caffè andrà benissimo.»
«Un caffè, allora,» ordinò Roy, e il cameriere sparì tra i tavoli con la sua ordinazione, così come era arrivato. «Dunque, cosa posso raccontarle?»
«Jean si comporta bene, vero?»
«Ma mamma, ti sembrano domande da fare?»
Questa volta, Roy non cercò di nascondere la sua risata. «Certo che si comporta bene, è ineccepibile.» Tacque un momento e poi scosse il capo. «C'è soltanto un piccolissimo problema.»
La donna si irrigidì. «Che sarebbe?»
«Le sigarette,» disse lui, mortalmente serio. «Fuma veramente troppo, finirà per portarlo nella tomba.»
Lei sospirò, come se fosse stata pronta ad incassare un colpo ben più grosso, ed annuì stringendo le mani sopra la tovaglietta. «Guardi, non me ne parli, è una maledizione. Ha cominciato da ragazzo, sa? Proprio dopo l'accademia. Tutti i suoi amici fumavano, e così ha cominciato anche lui: da allora non ha più smesso.»
Roy annuì, incrociando le braccia al petto. «Un vero disastro.»
«Io glielo dico sempre. Non di smettere del tutto, ma di ridurre almeno un po', perché anche secondo me fuma davvero troppo, ma non mi ascolta mai.»
«A chi lo dice. Sembra proprio che da quell'orecchio non ci senta.»
Havoc deglutì, guardando con crescente desiderio il posacenere che aveva sotto gli occhi. Quei due potevano dire quello che volevano, ma in quel momento avrebbe davvero ucciso per potersi fumare almeno un'altra sigaretta. Lanciò un'occhiata al suo superiore, seduto accanto a lui, notando come mano a mano che parlava le spalle iniziavano a rilassarsi – aveva poco da fare il gradasso, era nervoso anche lui, altroché – e poi osservò sua madre, ritta nel suo golf rosa e visibilmente imbarazzata, le dita attorcigliate con così tanta forza da farsi sbiancare le nocche. Sospirò, lanciando un'altra occhiata disperata al posacenere. Chiaramente sua madre stava non la stava prendendo molto bene; non che la biasimasse, capiva benissimo che la situazione era piuttosto imbarazzante, e forse era stato un bene incontrarsi in un luogo pubblico, dove nessuno poteva lasciarsi andare a imbarazzanti crisi isteriche.
«Sì, è stato un brutto periodo.» La voce di Roy lo raggiunse nel bel mezzo dei suoi pensieri e lui drizzò la testa, come se fosse stato preso con le mani in fallo. Guardò sua madre che annuì, composta, lo sguardo leggermente abbassato.
«Ci tenevo molto a ringraziarla per ciò che ha fatto per Jean… Roy.»
Lui sorrise, stringendosi nelle spalle. «Non è stato per niente merito mio. Sono stati il dottor Marco e, naturalmente, suo figlio a fare tutto quanto.»
Lei scosse il capo, lievemente accalorata. Lo guardò negli occhi. «No, mi creda. Se lei non avesse insistito, se lei non fosse stato lì quando Jean ha avuto bisogno, credo che non ce l'avrebbe fatta.»
Roy sbatté le palpebre e sentì le proprie guance diventare decisamente più bollenti di quanto non fossero un istante prima. Guardò Havoc e abbozzò un sorriso, prima di tornare a rivolgersi a lei: «Era quello che sentivo di dover fare,» disse, lottando con se stesso per non allungare la mano e afferrare quella dell'uomo seduto accanto a lui. Si guardarono di nuovo e questa volta Havoc ricambiò il suo sorriso.
«Ed è per questo che sono molto felice che lui lavori per lei, Roy,» disse la donna, improvvisamente rossa in viso e con gli occhi grandi e lucidi.
Havoc aprì la bocca per parlare un paio di volte, incredulo. «Mamma!»
La donna singhiozzò in silenzio e si tamponò gli occhi, imbarazzata. «Mi dispiace, davvero, non so cosa mi sia preso,» si scusò, la voce un pochino tremolante.
Roy le rivolse un sorriso cordiale e scosse il capo: «La prego, no. È naturale, lui è il suo unico figlio.»
Lei lo guardò dritto negli occhi e abbozzò a sua volta un sorriso che sperò essere abbastanza convincente. «Grazie, davvero, lei è molto gentile.» La donna strinse tra le dita la tazzina di caffè che le avevano portato un momento prima e ne bevve un piccolo sorso, cercando di riacquistare un po' di controllo. Non disse nulla per un breve momento e poi sospirò, cercando di mostrarsi un po' più allegra: «Forse le sembrerò un po' indiscreta, ma posso farle una domanda?»
Roy si irrigidì e strinse appena i pugni, cercando tuttavia di non lasciare trasparire niente dal proprio viso. «Certo,» le disse, la voce leggermente strozzata. «Mi dica.»
«È una cosa abituale per lei? Voglio dire, lo fa spesso?»
Havoc spalancò gli occhi e la bocca e Roy rimase immobile, impietrito, incapace di emettere un qualsiasi suono coerente, mentre la faccia di sua zia Chris gli appariva limpida nella mente. «Mi scusi?»
Lei li guardò entrambi lievemente accigliata e si schiarì appena la voce: «Intendo dire, sa, prendersi a cuore le faccende dei suoi sottoposti, conoscere le loro famiglie. Questo genere di cose.»
I due uomini rilasciarono il fiato e Havoc gettò il capo in avanti, visibilmente sollevato, mentre Roy si lasciò scappare un risolino nervoso: «Sì e no. Tengo molto ai miei uomini, se è questo che intende. Ma per quello che riguarda le famiglie, be',» lanciò un'occhiata a Havoc e si strinse nelle spalle, quasi a sottolineare di star dicendo una cosa assolutamente ovvia. «Di solito no, naturalmente. Ma per quanto riguarda Havoc è una questione completamente diversa. Chiaramente.»
La donna lo guardò per un momento con le sopracciglia aggrottate e poi rilassò la fronte, come se avesse compreso quello che stava succedendo solo in quel momento. «Oh, ma certo, mi scusi. Ha ragione.» Abbozzò un risolino e si sedette comodamente contro lo schienale della sedia, improvvisamente più a suo agio. «Quindi lei sa molte cose di Jean, non è vero? Cose che non hanno a che fare con il lavoro, non è così?»
Roy inarcò un sopracciglio. «Be', sì. Sì, certo.»
«Mamma, di che cosa stai parlando?»
La donna guardò il figlio e si strinse nelle spalle, sulla difensiva. «Visto che tu non vuoi dirmi niente, lo chiederò a lui.»
Havoc sbatté le palpebre: «Chiederai a lui cosa, esattamente?» le chiese, rosso in viso, lanciando rapide occhiate da lei al suo superiore e viceversa.
Roy sorrise, iniziando a trovare quella conversazione particolarmente divertente. Okay, era andata. D'accordo, forse l'inizio non era stato tra i più brillanti, ma non poteva fare a meno di pensare che il fatto che quella tazza di caffè non gli era ancora stata buttata in faccia, accompagnata da accuse indignate di aver portato il suo bravo ragazzo sulla via della perdizione, fosse davvero un buon segno. «Se ne so qualcosa sarà mio piacere e mia premura dirglielo, signora.»
Lei espirò, soddisfatta e gli concesse tutta la sua attenzione, ignorando completamente suo figlio che continuava a lamentarsi: «La ringrazio molto. So che non dovrei farle domande simili, ed è anche piuttosto imbarazzante, ma visto che lei ha questa, come dire, relazione particolare con Jean probabilmente lo sa o ne ha sentito parlare.»
Roy inarcò le sopracciglia. Aveva appena definito la loro una relazione particolare? «Mi dica tutto,» la esortò, cercando di non ridacchiare.
«Lei è a conoscenza di qualche dettaglio sulla sua nuova, come dire, innamorata?»
Il silenzio cadde sul tavolino come fosse stato uno spesso masso di cemento. Roy aprì la bocca un paio di volte per parlare e Havoc spalancò gli occhi, completamente colto alla sprovvista. I due uomini si guardarono per un momento e Roy gli scoccò un'occhiata che, se avesse potuto, l'avrebbe ridotto ad un informe ammassa di cenere.
La donna arrossì, stringendosi nelle spalle: «Ho detto qualcosa che non va?»
Roy inspirò a fondo e poi la guardò, gli occhi fuori dalle orbite. «Potrebbe ripetere, per cortesia?»
«La fidanzata di Jean. La sua nuova ragazza,» gli spiegò, iniziando a sentirsi terribilmente a disagio. «Volevo sapere se lei era a conoscenza di qualcosa. Almeno il suo nome, visto che Jean non mi dice niente.»
«Havoc ha una ragazza
«Non ho una ragazza!» sbottò Havoc, rosso in viso, fissando sua madre con un'espressione così sconvolta che lei non fu in grado di decifrare.
«Non dire sciocchezze, lo so che ce l'hai.»
«Lei l'ha vista?»
«No,» disse la donna, sulla difensiva, colpita dal tono improvvisamente brusco che aveva usato. «Non l'ho vista,» ripeté, più calma, «ma so che esiste. So che Jean si sta vedendo con qualcuno, glielo leggo in faccia.»
«Mamma…»
«E so che è una cosa seria,» continuò lei, inarrestabile. «Sono una madre, io capisco certe cose. Solo che tutte le rare volte in cui finiamo sull'argomento lui si lascia andare per un po', ma poi si mette a parlare del lavoro o perfino di lei,» disse, indicando Roy, «e non c'è più verso di fargli dire una parola.»
Roy sbatté le palpebre e sentì il fiato mozzato in gola quando finalmente capì il senso di quelle parole. Sapeva che Havoc, accanto a lui, non osava voltare lo sguardo e si costrinse ad inspirare a fondo con tutta calma mentre le labbra faticavano a prendere una piega anche solo vagamente simile ad un sorriso cordiale. «Sì, capisco.» Strinse i pugni. «No, mi dispiace, non ne so nulla. Ma indagherò per lei, se lo desidera. Vede io dubito,» e fissò Havoc con la coda dell'occhio, «che lui sia in grado di tenermi un segreto come questo.»
«Signore…»
La donna annuì, lievemente imbarazzata. «Grazie mille, ma non deve disturbarsi.» Sbatté le palpebre. «Non è poi così importante.»
Roy scosse il capo e sollevò una mano verso di lei: «Oh, lo è, mi creda. Oserei dire che è fondamentale che lei sappia con chi si vede suo figlio, non ho ragione?»
Havoc si passò una mano sugli occhi e abbassò la testa, mortificato, mentre sua madre faceva scorrere lo sguardo dall'uno all'altro lievemente confusa, sentendosi come se avesse perso una parte importante della conversazione.
«Certo,» mormorò, con un lieve cenno del capo, e in quel preciso istante Roy si infilò una mano in tasca ed estrasse il portafoglio, facendo segno al cameriere di portare loro il conto. «Le chiedo scusa, signora, ma purtroppo si è fatto tardi,» le disse, più sbrigativo di quanto imponessero le buone maniere, e quando lei si offrì di pagare la propria parte lui sospirò, sorridendole: «No, lascia fare a me. È stato davvero un piacere conoscerla,» aggiunse, alzandosi in piedi e immediatamente gli altri due lo imitarono.
«Il piacere è stato mio, Roy. Tu cosa fai Jean?»
Havoc guardò l'altro uomo e deglutì, passandosi una mano sulla nuca. «Devo tornare in ufficio,» disse, come se stesse recitando ad alta voce la sua condanna a morte e sue madre annuì, soddisfatta, come se non si fosse accorta di nulla. «Bene, quindi ci salutiamo qui. Vieni a trovarmi ogni tanto Jean e, Roy, ancora tante grazie per aver accettato il mio invito.»
«Ma le pare.» Si strinsero la mano e dopo essersi scambiati qualche altra formalità la donna si avviò, incamminandosi lungo la strada dalla quale era venuta, beatamente ignara della tempesta che di lì a poco si sarebbe scatenata sulla testa del suo unico figlio.
Roy si voltò a guardare il suo sottoposto, i pugni serrati, la mascella contratta e Havoc deglutì, facendo un passo indietro. «Posso spiegare,» cominciò, a tentoni, ma l'altro lo interruppe, implacabile: «Me lo auguro davvero.»
«Lei ha… deve aver frainteso!» si difese, sollevando le mani e Roy gli si avvicinò, così tanto che gli era sufficiente sussurrare per farsi sentire distintamente: «Esattamente cosa c'è da fraintendere in "è da anni che faccio sesso col mio diretto superiore"?»
Havoc deglutì. «Diciamo che, ecco…»
«Cosa?»
«Non l'ho messa giù proprio in quel modo,» confessò, paonazzo, allontanandosi un poco. «Insomma, si tratta pur sempre di mia madre. Non volevo sconvolgerla.»
Roy si passò una mano tra i capelli e si spostò a sua volta, come se solo stargli vicino gli facesse sentire il bisogno spasmodico di mettergli le mani addosso – e non nel senso buono. «Io…» inspirò, a lungo, e poi sollevò le mani in segno di resa. «D'accordo, d'accordo. Non fa niente.» Inspirò di nuovo. «Tu sappi solo che è stata l'esperienza più umiliante della mia vita, e il tempo che mi hai fatto perdere ti verrà detratto dallo stipendio.»
«Signore!»
«Cosa?» sbottò con dipinta in faccia un'espressione che non ammetteva repliche.
Havoc annuì e abbassò il capo, lasciando cadere le braccia lungo i fianchi. «No, ha ragione. Mi dispiace.»
«Lo credo bene.»
«No,» gli disse, senza trovare il coraggio di sollevare gli occhi. «Mi dispiace davvero. Avrei dovuto essere più chiaro, chiaramente lei ha sentito soltanto quello che voleva sentire. Dovevo aspettarmelo.»
Roy annuì. «Probabile.»
Per un lungo momento nessuno dei due disse nulla e si limitarono a stare lì, immobili, ancora bloccati tra le loro sedie e il tavolino. Roy si guardò attorno, scrutando uno per uno i visi dei clienti del bar totalmente disinteressati a ciò che loro stavano facendo e si strinse nelle spalle, voltandosi verso l'uscita: «Dobbiamo andare,» disse, il tono vagamente perentorio. «Quando ho detto che abbiamo del lavoro da fare non dicevo tanto per dire.»
Havoc lo seguì immediatamente, ritrovandosi poi al suo fianco quando arrivarono sul marciapiede. «Cosa posso fare per farmi perdonare?» chiese, quasi timidamente, come se si aspettasse da un momento all'altro di essere colpito dalle sue fiamme.
Roy non gli rispose subito e continuarono a camminare in silenzio fino a che, poco lontano da dove si trovavano, videro spuntare i cancelli del Quartier Generale. Attraversarono il cortile con passo sostenuto e solo quando si trovarono davanti all'ingresso Roy si voltò a fronteggiarlo, le sopracciglia aggrottate. «Se ci tieni tanto a farti perdonare,» gli disse, secco, «fa' il tuo lavoro in fretta e fallo in silenzio.» Poi, a voce più bassa, aggiunse: «Più tardi, da te. E vedi di farti trovare con una straordinaria scusa pronta, perché questa è la volta buona che ritorni su quella sedia a rotelle, mi sono spiegato?»
Havoc deglutì e, cercando di controllare il sorriso che gli stava prepotentemente spuntando sulle labbra, annuì: «Sissignore.»

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