![[personal profile]](https://www.dreamwidth.org/img/silk/identity/user.png)
Titolo: Not only an Alchemist – a soldier
Fandom: Fullmetal Alchemist
Personaggi: Roy Mustang
Pairing: Nessuno
Rating: PG
Conteggio Parole: 1094 (Fidipù)
Challenge: COW-T @
maridichallenge
Prompt: [I Settimana – Missone 1] Guerra
Riassunto: Vivo, come no, per miracolo. Salvato dallo stesso simbolo che solo poco prima aveva preso in mano con orgoglio, il simbolo che avrebbe dovuto attestare al mondo intero che lui aveva offerto la sua Alchimia all'Esercito per il bene del suo Paese – della sua gente, la stessa gente che ogni giorno vedeva contorcersi e bruciare sotto quelle fiamme per cui aveva lavorato così tanto, che così tanto aveva desiderato.
«Che stronzata.»
Note: Ambientata nella scena della tenda dell'OVA 4 della Brotherhood, dopo che Heiss Cliff o come ci chiama spara a Roy. Comnuque, sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui Endless Waltz avrebbe invaso anche gli altri fandom. Era solo questione di tempo. ù_ù (Chi non conosce Gundam Wing *sputa* non capirà la citazione PALESE ET INDEGNA del finale, ma insommaeccouffa. ;__;) È stata un parto, ma non potevo non scrivere su Ishbar. Dovrei piantarla di cercare di scrivere introspezione, è chiaro che non ne sono capace… XD
Spoiler: FMAB OVA 4
Disclaimer: Mucca-san no. ♥
Warning: Angst, Introspettivo
Buio. Silenzio. Nelle orecchie, solo l'eco assordante del rombo dello sparo e il ricordo di una voce fin troppo conosciuta che si alza fino al cielo, oltre le barriere dell'oblio e che grida il suo nome, una, due volte – ma a ben pensarci, forse se l'era solo immaginata, quella, perché era troppo lontana, troppo impalpabile, troppo leggera. Troppo desiderata, per essere reale.
Non solleva la testa, perché il cappuccio che si è calato sulla fronte per coprirsi gli occhi gli sembra davvero troppo pesante, e resta perfettamente immobile, le braccia abbandonate sulle ginocchia raccolte al petto, i piedi ben saldi sulla terra battuta perché, lo sa, gli basterebbe un niente per scivolare di nuovo nell'oblio. E comunque, non ha bisogno di alzare il capo, per sapere che cosa lo circonda – le pareti scure e opprimenti di una tenda militare, casse di armi gettate alla rinfusa sul pavimento e, abbandonato sul tavolo come se fosse una cianfrusaglia qualunque, il suo orologio d'argento, l'orologio degli Alchimisti di Stato, il cui centro si è frantumato a causa di quel proiettile che era invece destinato al suo cuore.
Se gli rimanesse un briciolo di forza, nel petto, un poco di voglia di vivere, probabilmente si metterebbe a ridere. Lui non mette mai l'orologio nella tasca interna della giacca: di solito lo aggancia alla cintura e se lo infila nelle tasche dei calzoni, perché lì è più facile da raggiungere, è più comodo. Onestamente, non sa nemmeno come ci sia finito, nella giacca – forse lo hanno colto di sorpresa, quella mattina, forse lo hanno richiamato all'attenti quando lui ancora non era pronto, forse nella fretta di scattare fuori dalla tenda e buttarsi sul campo di battaglia ha lasciato scivolare l'orologio dove capitava, proprio lì, sopra il suo cuore.
Non lo sa e, a ben pensarci, non gli importa. Quello che sa è che è ancora vivo, fosse anche per un solo giorno ancora, abbastanza vivo per riuscire ad alzarsi sulle sue gambe e, appena fosse sorto il sole, uscire di nuovo tra le macerie e la polvere a uccidere uomini e donne che, in fin dei conti, avevano solo la colpa di essere nati nel punto sbagliato del Paese.
Vivo, come no, per miracolo. Salvato dallo stesso simbolo che solo poco prima aveva preso in mano con orgoglio, il simbolo che avrebbe dovuto attestare al mondo intero che lui aveva offerto la sua Alchimia all'Esercito per il bene del suo Paese – della sua gente, la stessa gente che ogni giorno vedeva contorcersi e bruciare sotto quelle fiamme per cui aveva lavorato così tanto, che così tanto aveva desiderato.
«Che stronzata.»
È uno spreco insegnare a qualcuno che si disonorerà con le sue stesse mani diventando un cane dell'Esercito anche le sole regole fondamentali di quell'arte.
Stringe i denti e irrigidisce la mascella, solo per un momento, quando le parole del suo maestro riecheggiano tra la tenda e le sue orecchie, perentorie come se fossero state pronunciate da qualcuno che si trovava proprio lì, accanto a lui. Adesso capiva davvero fino in fondo quanto lui avesse avuto ragione a volerlo dissuadere dall'intraprendere quella strada, fin dal principio.
«Ma non è giusto.»
No, non lo era. Ma, d'altro canto, sa benissimo di non essere soltanto un Alchimista, nel suo Paese – è un soldato, un soldato che ha messo la propria vita e il proprio talento al servizio della nazione, quella stessa nazione che ora ha tutto il diritto di pretendere che lui combatta una guerra priva di senso e che uccida soltanto perché così gli era stato ordinato di fare.
Stringe le palpebre, ancora di più, e la bocca, mentre un fiotto di bile schizza lungo il suo esofago, facendolo fremere e tremare per il disgusto. Deve esserci qualcosa che può fare. Non è possibile che tutte le speranze che ha nutrito e coltivato e che lo hanno portato fino a quel punto siano destinate ad incagliarsi con lui in quella strada senza uscita, in quel buco rovente d'Inferno da cui sembra impossibile risalire per cercare il sole.
Una risposta.
Solleva un pochino la testa, quando sente le porte della tenda frusciare e il suo cuore si tende in uno spasmo quando la voce di Hughes – una voce vera, questa volta, non frutto dei suoi ricordi o di una fantasia che galleggia imperturbabile nel buio della sua mente – raggiunge le sue orecchie.
Una risposta, si ripete nella mente, mentre l'altro uomo gli comunica i suoi ordini, mentre lui gli risponde meccanicamente frasi senza senso, solo perché deve essere sicuro di poter ancora usare la sua voce.
Né quest'uniforme che indosso, né quell'orologio che porto sono in grado di dirmi perché lo sto facendo.
Hughes urla, gettandogli tutta la sua frustrazione direttamente in faccia, e le sue parole sembrano scavare un buco direttamente nel suo petto; gli strappano la pelle, la carne, e scendono sempre di più, in profondità, fino al suo cuore, fino alla sua anima. Roy distoglie lo sguardo e torna a nascondersi sotto il cappuccio, tropo stanco per parlare, troppo stanco anche solo per guardarlo negli occhi.
Dammi una risposta, Hughes. Dimmi che senso ha combattere per qualcosa in cui non posso credere.
Hughes si alza, gli volta le spalle, e questa volta il peso del suo silenzio vale infinite volte di più del suono della sua voce. Tempo. Gli serve soltanto ancora un po' di tempo. «Possiamo aspettare trenta secondi?»
Le sue parole vagano nell'aria rarefatta per un lungo momento, prima che Hughes gli risponda. «Trenta secondi, allora.»
Roy si appoggia le mani intrecciate contro la fronte, in attesa. Sente il tempo scorrere sulla sua pelle, lento come lo strisciare di una lumaca, e mano a mano che i secondi si addensano tra le sue mani la sua risoluzione cresce, prende forma e torna a colmare il suo cuore che fino ad un istante prima quasi non riusciva più a sentirsi nel petto.
Mi basterà una parola.
«Trenta secondi.» La voce di Hughes è forte, sicura, perentoria quando dopo un attesa che gli era parsa infinita lo richiama da questa parte, nel mondo che fa più schifo. «Alzati, Alchimista di Fuoco. È ora di andare.»
Roy solleva gli occhi, il viso, e poi si alza, saldo sulle gambe come non si era più sentito da quando quel massacro era cominciato, e sebbene dentro di sé sappia che quella sia una guerra completamente priva di senso, in un qualche modo ora è pronto ad affrontarla a testa alta.
Mia basterà una tua parola, e sarò in grado di combattere di nuovo.
Fandom: Fullmetal Alchemist
Personaggi: Roy Mustang
Pairing: Nessuno
Rating: PG
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Prompt: [I Settimana – Missone 1] Guerra
Riassunto: Vivo, come no, per miracolo. Salvato dallo stesso simbolo che solo poco prima aveva preso in mano con orgoglio, il simbolo che avrebbe dovuto attestare al mondo intero che lui aveva offerto la sua Alchimia all'Esercito per il bene del suo Paese – della sua gente, la stessa gente che ogni giorno vedeva contorcersi e bruciare sotto quelle fiamme per cui aveva lavorato così tanto, che così tanto aveva desiderato.
«Che stronzata.»
Note: Ambientata nella scena della tenda dell'OVA 4 della Brotherhood, dopo che Heiss Cliff o come ci chiama spara a Roy. Comnuque, sapevo che sarebbe arrivato il momento in cui Endless Waltz avrebbe invaso anche gli altri fandom. Era solo questione di tempo. ù_ù (Chi non conosce Gundam Wing *sputa* non capirà la citazione PALESE ET INDEGNA del finale, ma insommaeccouffa. ;__;) È stata un parto, ma non potevo non scrivere su Ishbar. Dovrei piantarla di cercare di scrivere introspezione, è chiaro che non ne sono capace… XD
Spoiler: FMAB OVA 4
Disclaimer: Mucca-san no. ♥
Warning: Angst, Introspettivo
Buio. Silenzio. Nelle orecchie, solo l'eco assordante del rombo dello sparo e il ricordo di una voce fin troppo conosciuta che si alza fino al cielo, oltre le barriere dell'oblio e che grida il suo nome, una, due volte – ma a ben pensarci, forse se l'era solo immaginata, quella, perché era troppo lontana, troppo impalpabile, troppo leggera. Troppo desiderata, per essere reale.
Non solleva la testa, perché il cappuccio che si è calato sulla fronte per coprirsi gli occhi gli sembra davvero troppo pesante, e resta perfettamente immobile, le braccia abbandonate sulle ginocchia raccolte al petto, i piedi ben saldi sulla terra battuta perché, lo sa, gli basterebbe un niente per scivolare di nuovo nell'oblio. E comunque, non ha bisogno di alzare il capo, per sapere che cosa lo circonda – le pareti scure e opprimenti di una tenda militare, casse di armi gettate alla rinfusa sul pavimento e, abbandonato sul tavolo come se fosse una cianfrusaglia qualunque, il suo orologio d'argento, l'orologio degli Alchimisti di Stato, il cui centro si è frantumato a causa di quel proiettile che era invece destinato al suo cuore.
Se gli rimanesse un briciolo di forza, nel petto, un poco di voglia di vivere, probabilmente si metterebbe a ridere. Lui non mette mai l'orologio nella tasca interna della giacca: di solito lo aggancia alla cintura e se lo infila nelle tasche dei calzoni, perché lì è più facile da raggiungere, è più comodo. Onestamente, non sa nemmeno come ci sia finito, nella giacca – forse lo hanno colto di sorpresa, quella mattina, forse lo hanno richiamato all'attenti quando lui ancora non era pronto, forse nella fretta di scattare fuori dalla tenda e buttarsi sul campo di battaglia ha lasciato scivolare l'orologio dove capitava, proprio lì, sopra il suo cuore.
Non lo sa e, a ben pensarci, non gli importa. Quello che sa è che è ancora vivo, fosse anche per un solo giorno ancora, abbastanza vivo per riuscire ad alzarsi sulle sue gambe e, appena fosse sorto il sole, uscire di nuovo tra le macerie e la polvere a uccidere uomini e donne che, in fin dei conti, avevano solo la colpa di essere nati nel punto sbagliato del Paese.
Vivo, come no, per miracolo. Salvato dallo stesso simbolo che solo poco prima aveva preso in mano con orgoglio, il simbolo che avrebbe dovuto attestare al mondo intero che lui aveva offerto la sua Alchimia all'Esercito per il bene del suo Paese – della sua gente, la stessa gente che ogni giorno vedeva contorcersi e bruciare sotto quelle fiamme per cui aveva lavorato così tanto, che così tanto aveva desiderato.
«Che stronzata.»
È uno spreco insegnare a qualcuno che si disonorerà con le sue stesse mani diventando un cane dell'Esercito anche le sole regole fondamentali di quell'arte.
Stringe i denti e irrigidisce la mascella, solo per un momento, quando le parole del suo maestro riecheggiano tra la tenda e le sue orecchie, perentorie come se fossero state pronunciate da qualcuno che si trovava proprio lì, accanto a lui. Adesso capiva davvero fino in fondo quanto lui avesse avuto ragione a volerlo dissuadere dall'intraprendere quella strada, fin dal principio.
«Ma non è giusto.»
No, non lo era. Ma, d'altro canto, sa benissimo di non essere soltanto un Alchimista, nel suo Paese – è un soldato, un soldato che ha messo la propria vita e il proprio talento al servizio della nazione, quella stessa nazione che ora ha tutto il diritto di pretendere che lui combatta una guerra priva di senso e che uccida soltanto perché così gli era stato ordinato di fare.
Stringe le palpebre, ancora di più, e la bocca, mentre un fiotto di bile schizza lungo il suo esofago, facendolo fremere e tremare per il disgusto. Deve esserci qualcosa che può fare. Non è possibile che tutte le speranze che ha nutrito e coltivato e che lo hanno portato fino a quel punto siano destinate ad incagliarsi con lui in quella strada senza uscita, in quel buco rovente d'Inferno da cui sembra impossibile risalire per cercare il sole.
Una risposta.
Solleva un pochino la testa, quando sente le porte della tenda frusciare e il suo cuore si tende in uno spasmo quando la voce di Hughes – una voce vera, questa volta, non frutto dei suoi ricordi o di una fantasia che galleggia imperturbabile nel buio della sua mente – raggiunge le sue orecchie.
Una risposta, si ripete nella mente, mentre l'altro uomo gli comunica i suoi ordini, mentre lui gli risponde meccanicamente frasi senza senso, solo perché deve essere sicuro di poter ancora usare la sua voce.
Né quest'uniforme che indosso, né quell'orologio che porto sono in grado di dirmi perché lo sto facendo.
Hughes urla, gettandogli tutta la sua frustrazione direttamente in faccia, e le sue parole sembrano scavare un buco direttamente nel suo petto; gli strappano la pelle, la carne, e scendono sempre di più, in profondità, fino al suo cuore, fino alla sua anima. Roy distoglie lo sguardo e torna a nascondersi sotto il cappuccio, tropo stanco per parlare, troppo stanco anche solo per guardarlo negli occhi.
Dammi una risposta, Hughes. Dimmi che senso ha combattere per qualcosa in cui non posso credere.
Hughes si alza, gli volta le spalle, e questa volta il peso del suo silenzio vale infinite volte di più del suono della sua voce. Tempo. Gli serve soltanto ancora un po' di tempo. «Possiamo aspettare trenta secondi?»
Le sue parole vagano nell'aria rarefatta per un lungo momento, prima che Hughes gli risponda. «Trenta secondi, allora.»
Roy si appoggia le mani intrecciate contro la fronte, in attesa. Sente il tempo scorrere sulla sua pelle, lento come lo strisciare di una lumaca, e mano a mano che i secondi si addensano tra le sue mani la sua risoluzione cresce, prende forma e torna a colmare il suo cuore che fino ad un istante prima quasi non riusciva più a sentirsi nel petto.
Mi basterà una parola.
«Trenta secondi.» La voce di Hughes è forte, sicura, perentoria quando dopo un attesa che gli era parsa infinita lo richiama da questa parte, nel mondo che fa più schifo. «Alzati, Alchimista di Fuoco. È ora di andare.»
Roy solleva gli occhi, il viso, e poi si alza, saldo sulle gambe come non si era più sentito da quando quel massacro era cominciato, e sebbene dentro di sé sappia che quella sia una guerra completamente priva di senso, in un qualche modo ora è pronto ad affrontarla a testa alta.
Mia basterà una tua parola, e sarò in grado di combattere di nuovo.