mapi_littleowl (
mapi_littleowl) wrote2017-02-06 11:21 am
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[ORIGINAL RP] Sliding Doors
La giornata era uggiosa e Connor, avvolto nella sua sciarpa, continuava a fissare l'ora sul cellulare come se ciò potesse far scorrere il tempo più velocemente.
Aveva un fastidio sottopelle di cui era troppo stufo per curarsene: desiderava solo che il treno arrivasse presto e che lo portasse a scuola senza ulteriori ritardi.
Guardò ancora il telefono. Era passato un minuto. La musica che stava ascoltando non aiutava a fargli perdere la concezione del tempo, e allora sollevò lo sguardo a destra e sinistra, sulla folla di disagiati come lui che stavano aspettando il treno.
Per lo più erano studenti e lavoratori pendolari, come tutte le mattine – alcuni Umani, altri no; Connor poteva sentirne l'odore nell'aria, li poteva distinguere nella folla, più alti, più imponenti, più vistosi. Ormai avrebbe dovuto farvi l'abitudine, ma per lui restava comunque strano camminare per strada ed essere superati da un branco di licantropi o vedere un gruppo di sirene parlottare sul ciglio della strada.
Quando per sbaglio incrociò lo sguardo di una Creatura, Connor tremò e abbassò lo sguardo sul telefono. 7:42. L'ora avrebbe dovuto dirgli qualcosa, ma siccome non riusciva a ricordare cosa, lo scacciò dalla mente. Così era più facile.
Uno scampanellio comunicò alla folla che il treno era in procinto di entrare in stazione. Connor rilasciò il fiato che non si era accorto di aver trattenuto. Il brivido sottopelle non se ne andava e lui si diede uno scossone, dando la colpa al freddo.
7:43
Connor sollevò gli occhi al cielo. Non gli interessava nemmeno arrivare a scuola in orario, voleva solo che qualcosa si muovesse, che quella sensazione paralizzante che sentiva nei gomiti e nelle ginocchia passasse il più in fretta possibile.
Alle 7:45 l'altoparlante annunciò un treno in arrivo in stazione e lui sollevò gli occhi al cielo, grato. Lentamente, ma qualcosa si stava muovendo.
Alla sua sinistra un trio di Elfe vocalizzarono il suo stesso sollievo, e vagamente lui si domandò se non sarebbe stato meglio fare quel tratto con alcuni dei suoi compagni di scuola che abitavano nella zona, piuttosto che per conto suo: tuttavia, per farla insieme a loro avrebbe dovuto prendere l'altra linea, che distava di più da casa sua rispetto a questa fermata; non ne valeva la pena.
Il treno entrò in stazione. Era bianco splendente e portava il capolinea scritto al neon sul muso e sopra ad ogni porta. Connor rimase a guardare le scritte luccicanti e quando un campanello annunciò l'apertura delle porte venne trascinato dalla folla sul treno.
Come tutte le mattine non trovò alcun posto dove sedersi, ma non era importante. Si aggrappò a un palo e guardò di nuovo il telefono, facendo scorrere la pagina delle news senza leggerle per davvero – soliti problemi all'estero, soliti problemi in casa, soliti problemi ovunque.
Gli stavano stretti, i problemi. Connor amava le cose semplici, senza complicazioni: le giornate tutte uguali, senza deviazioni dalla norma, senza progetti erano le sue preferite e lui cercava di attenervisi il più possibile.
Connor sistemò il telefono in tasca e tentò di non brontolare quando qualcuno sbatté contro di lui ad una fermata un po' brusca del treno.
Senza che nemmeno sapesse bene il perché, l'occhio gli cadde sulla mano sinistra, quella aggrappata al palo. Dalle dita strette attorno al metallo scivolò lungo il palmo e poi sul polso. Sbatté le palpebre. Guardò di nuovo, con la bocca aperta e a malapena si accorse delle porte che si aprivano e poi si richiudevano alla sua fermata, del treno che continuava il suo viaggio senza curarsi di lui.
L'orologio sul suo polso era a zero. L'orologio sul suo polso, che dal giorno in cui era nato contava il tempo che gli mancava prima di incontrare la sua unica Anima Gemella era a zero.
Aveva incontrato la sua Anima Gemella e non se n'era accorto.
Si guardò intorno, gli occhi spalancati, alla ricerca di qualcuno nelle sue stesse condizioni, qualcuno che osservasse la folla con la sua stessa apprensione, ma non vide nessuno: sembrava che tutti fossero tranquillamente preso dai fatti loro, nessuno col naso sollevato dal suo telefono o tablet.
Connor deglutì. Aveva incontrato la sua Anima Gemella e, per quel che ne sapeva, se l'era perduta.
"Oh, merda," disse.
Aveva un fastidio sottopelle di cui era troppo stufo per curarsene: desiderava solo che il treno arrivasse presto e che lo portasse a scuola senza ulteriori ritardi.
Guardò ancora il telefono. Era passato un minuto. La musica che stava ascoltando non aiutava a fargli perdere la concezione del tempo, e allora sollevò lo sguardo a destra e sinistra, sulla folla di disagiati come lui che stavano aspettando il treno.
Per lo più erano studenti e lavoratori pendolari, come tutte le mattine – alcuni Umani, altri no; Connor poteva sentirne l'odore nell'aria, li poteva distinguere nella folla, più alti, più imponenti, più vistosi. Ormai avrebbe dovuto farvi l'abitudine, ma per lui restava comunque strano camminare per strada ed essere superati da un branco di licantropi o vedere un gruppo di sirene parlottare sul ciglio della strada.
Quando per sbaglio incrociò lo sguardo di una Creatura, Connor tremò e abbassò lo sguardo sul telefono. 7:42. L'ora avrebbe dovuto dirgli qualcosa, ma siccome non riusciva a ricordare cosa, lo scacciò dalla mente. Così era più facile.
Uno scampanellio comunicò alla folla che il treno era in procinto di entrare in stazione. Connor rilasciò il fiato che non si era accorto di aver trattenuto. Il brivido sottopelle non se ne andava e lui si diede uno scossone, dando la colpa al freddo.
7:43
Connor sollevò gli occhi al cielo. Non gli interessava nemmeno arrivare a scuola in orario, voleva solo che qualcosa si muovesse, che quella sensazione paralizzante che sentiva nei gomiti e nelle ginocchia passasse il più in fretta possibile.
Alle 7:45 l'altoparlante annunciò un treno in arrivo in stazione e lui sollevò gli occhi al cielo, grato. Lentamente, ma qualcosa si stava muovendo.
Alla sua sinistra un trio di Elfe vocalizzarono il suo stesso sollievo, e vagamente lui si domandò se non sarebbe stato meglio fare quel tratto con alcuni dei suoi compagni di scuola che abitavano nella zona, piuttosto che per conto suo: tuttavia, per farla insieme a loro avrebbe dovuto prendere l'altra linea, che distava di più da casa sua rispetto a questa fermata; non ne valeva la pena.
Il treno entrò in stazione. Era bianco splendente e portava il capolinea scritto al neon sul muso e sopra ad ogni porta. Connor rimase a guardare le scritte luccicanti e quando un campanello annunciò l'apertura delle porte venne trascinato dalla folla sul treno.
Come tutte le mattine non trovò alcun posto dove sedersi, ma non era importante. Si aggrappò a un palo e guardò di nuovo il telefono, facendo scorrere la pagina delle news senza leggerle per davvero – soliti problemi all'estero, soliti problemi in casa, soliti problemi ovunque.
Gli stavano stretti, i problemi. Connor amava le cose semplici, senza complicazioni: le giornate tutte uguali, senza deviazioni dalla norma, senza progetti erano le sue preferite e lui cercava di attenervisi il più possibile.
Connor sistemò il telefono in tasca e tentò di non brontolare quando qualcuno sbatté contro di lui ad una fermata un po' brusca del treno.
Senza che nemmeno sapesse bene il perché, l'occhio gli cadde sulla mano sinistra, quella aggrappata al palo. Dalle dita strette attorno al metallo scivolò lungo il palmo e poi sul polso. Sbatté le palpebre. Guardò di nuovo, con la bocca aperta e a malapena si accorse delle porte che si aprivano e poi si richiudevano alla sua fermata, del treno che continuava il suo viaggio senza curarsi di lui.
L'orologio sul suo polso era a zero. L'orologio sul suo polso, che dal giorno in cui era nato contava il tempo che gli mancava prima di incontrare la sua unica Anima Gemella era a zero.
Aveva incontrato la sua Anima Gemella e non se n'era accorto.
Si guardò intorno, gli occhi spalancati, alla ricerca di qualcuno nelle sue stesse condizioni, qualcuno che osservasse la folla con la sua stessa apprensione, ma non vide nessuno: sembrava che tutti fossero tranquillamente preso dai fatti loro, nessuno col naso sollevato dal suo telefono o tablet.
Connor deglutì. Aveva incontrato la sua Anima Gemella e, per quel che ne sapeva, se l'era perduta.
"Oh, merda," disse.
no subject
E col cazzo che lo mollavano.
Ryuunnosuke era uno di quei pochi fortunati e se chiudeva occhi, orecchie e soprattutto naso poteva perfino bearsi di quella situazione, insomma, tutto sommato era anche divertente vedere tutte quelle creature di solito miti, al limite della noia, trasformarsi in esperti cacciatori alla disperata ricerca di un punto debole in quella bestia di metallo, gli occhi che freneticamente cercavano a destra e a manca un posto di cui nessun altro si fosse accorto.
Ah, ah, che ridere. Tanto col cazzo che lo trovi un posto, sfigato!
Ryu considerò per un momento l'idea di tirare fuori dalla tasca del giaccone il cellulare e le cuffie, ma poi gli ritornò alla mente che ancora non aveva aggiornato la playlist e che quindi avrebbe dovuto riascoltare ancora e ancora le solite canzoni che lo avevano rincoglionito per un mese intero e, ugh, no grazie, preferisco vivere.
Per il puro gusto di fare lo stronzo allungò le gambe tra quelle degli altri passeggeri, sentendo poi su di sé gli sguardi infastiditi e irati del vecchiume che Ah, i giovani d'oggi non sanno più cosa sia il rispetto! e Ai Miei Tempi non ci si comportava certo in questa maniera!, ma Ryu se ne fotteva altamente; d'altra parte erano quasi ottocento anni che era in vita - 742, ma chi stava più a contarli, am I right? - e per tutti quegli ottocento anni l'idea di piantarla di comportarsi da ragazzino di merda non aveva mai nemmeno sfiorato il cervello, quindi perché iniziare adesso? Non aveva senso.
no subject
Fanculo.
Tutto e tutti, a cominciare da se stesso e dal momento in cui gli era venuto in mente che per far passare la noia di una vita immortale non sarebbe stato male trovarsi qualcosa da fare, magari pure un lavoretto del cazzo? E che idea geniale non era stata decidere di scrivere, invece che fare come tutte le persone normali e andarsi a prostituire?
Sbuffò e forse ringhiò, visto che l'Umano seduto accanto a lui si mosse a disagio nel suo posto.
Che noia gli Umani, pensò, scacciando veloccissimamente dal cervello il pensiero che, anche se per relativamente poco tempo, anche lui lo era stato - Grazie, Igor, a buon rendere. Non poteva certo dire di odiarli, a differenza dei Licantropi, ma non poteva nemmeno dire che gli piacessero: insomma, come cibo potevano andare - tranne quelli che fumavano, si drogavano, trombavano senza protezioni beccandosi le peggio malattie, quelli li detestava da morire! - ma come amici o conoscenti o coabitanti dello stesso condominio? Ugh, no grazie.
Il fatto era che gli umani erano dei codardi nati: erano la maggior parte della popolazione eppure avevano paura persino della loro ombra. Insomma, non che li biasimasse poi tanto, visto che erano circondati da creature più alte, più belle, più forti e più intelligenti di loro, ma insomma! Non avevano un po' di amor proprio?
Beh, non che fossero affari suoi, dopotutto a lui bastava che fossero lenti a correre e facilmente influenzabili dall'ipnosi, ma quando gli toccava andare in giro di giorno non gli piaceva sentire la puzza di sudore spandersi dalle loro ascelle.
Sbuffò di nuovo, cercando di non pensare a niente, e fu in quel momento che la metropolitana si fermò di nuovo: qualcuno scese, qualcuno salì e la corsa riprese. Tutto normale.
I nuovi arrivati erano uguali in tutto e per tutto a quelli che se n'erano andati, stesse facce annoiate, stessa voglia di essere lì, e Ryu chiuse un attimo gli occhi prima di infilare la mano nella tasca della giacca per tirare fuori il telefono e controllare che ore fossero o se avesse ricevuto qualche notifica sui social.
Qualcuno aveva messo "mi piace" ad un suo status su Facebook e qualcun altro l'aveva invitato a mettere "mi piace" ad una pagina di Fate - Perché? - quando alzando lo sguardo si accorse che gli mancavano solo tre fermate prima di arrivare a destinazione.
Cominciò a stiracchiarsi e a lamentarsi mentalmente del male al culo, e dopo essersi messo in testa il cappuccio della felpa voltò appena la testa e lo vide, in piedi, attaccato al palo come se ne dipendesse la sua vita stessa, che si guardava intorno come una gallina senza testa.
Sbatté le palpebre.
Quale diavolo è il suo problema?
no subject
Forse sarebbe dovuto scendere. Forse la sua Anima Gemella era nella stazione precedente, a guardarsi il polso confusa quanto lui. E se invece anche lei – o lui – non si era accorta di niente? Si fissò il polso, l'orologio fermo sullo zero. Da quanto tempo era così? Minuti? Forse ore? L'aveva controllato questa mattina?
Connor si passò una mano sulla bocca. Ecco cos'era quel brivido sottopelle, ecco perché aveva cominciato a sentire quella spinta dentro di sé. Mentalmente si diede dell'idiota, impalato lì com'era, senza sapere che fare.
Tra tutte le cose che non lo interessavano minimamente, trovare l'Anima Gemella non era tra queste. In realtà, l'aveva sempre attesa con ansia: trovare la persona giusta al momento giusto, per poi passare una tranquilla vita insieme – così come sarebbe senz'altro successo con qualcuno che gli era predestinato – era una delle sue ambizioni.
Una cosa facile in vista di una vita facile. Semplicemente, lo sviluppo ideale. E lui era stato capace di perdersela.
Inspirò a fondo. Okay, forse non tutto era necessariamente perduto per sempre. Aveva letto a qualche parte diverse testimonianze che raccontavano come l'incrociare per la prima volta lo sguardo con la propria Anima Gemella fosse una sensazione palpabile, un fremito allo stomaco, come se un filo venisse tirato in direzione della persona a cui si era destinati.
Okay. Doveva essere successo anche a lui - doveva solo ricordare esattamente quando. Ricordava il fastidio sulla banchina, lo stesso fastidio che gli era rimasto addosso una volta salito sul treno.
Quindi la sua Anima Gemella doveva essere sul treno. O esserci stata. Connor strinse il palo e vi appoggiò la fronte sudata. Nessuno gli aveva mai detto che fosse possibile non accorgersi di essere in presenza della propria Anima Gemella, quindi non aveva idea di che cosa fare. Una vocina nella sua testa gli suggerì di urlare alla gente di controllare i propri Orologi, ma la ricacciò indietro: chi l'avrebbe ascoltato? E che possibilità c'erano che la sua Anima Gemella fosse ancora sul treno?
no subject
Estrasse il cellulare e, aperto il browser, si mise a digitare freneticamente: "incontro mancato con anima gemella" Una serie di link scivolò sotto il suo sguardo, da "incontrare l'anima gemella, i segreti" a "cosa fare per prepararsi al primo incontro con l'anima gemella" passando per "impossibile perdere l'incontro con l'anima gemella".
Connor sentì la mano tremare. Stava davvero per vomitare. Era finita. La sua vita era finita: e non solo la sua. La sua distrazione aveva probabilmente incasinato tutto anche per la sua Anima Gemella.
Nel mezzo della sua disperazione, un link attirò la sua attenzione: "incontrare l'anima gemella? ... Facile su" Inspirò. Poi espirò lentamente. Il sangue stava cominciando a rifluire alla sua testa.
Poteva usare un sito di incontri. Lasciare un annuncio su un quotidiano o sulla bacheca della metro. Forse la sua Anima Gemella ci stava già pensando. Forse lo stava cercando anche lei. Un piccolo sorriso di speranza si aprì sulle sue labbra. Non era tutto perduto. Forse non era convenzionale, forse era strano o patetico, ma non era tutto perduto.
Sarebbe andato tutto a posto, si disse, tirando il respiro. sarebbe andato tutto a posto e questo incidente sarebbe diventato una storia divertente da raccontare alle future generazioni – un monito, un insegnamento di vita.
Connor annuì tra sé e sé e mise via il telefono. Sarebbe sceso alla prossima fermata e da lì avrebbe cominciato a pensare al da farsi, a come risolvere la situazione nel modo più rapido ed efficace.
Il tunnel cominciò a schiarirsi, anticipando la voce del conduttore che segnalava l'arrivo alla prossima fermata. Connor lasciò il palo e si avvicinò alla porta: tutti lo lasciarono passare. Non doveva essere una fermata molto popolare.
Quando le porte si aprirono e lui scese sulla banchina tutto gli sembrava meno nero, più luminoso. Poteva farcela. Doveva farcela.
no subject
Lo guardò sbattere la fronte contro il palo - Ma sei scemo? - cercare il cellulare nella tasca, digitare qualcosa, disperarsi e poi iniziare a sorridere come un ebete, discretamente, e Ryu assottigliò gli occhi quando uno strano pensiero gli passò per la mente.
E' davvero carino per essere un Umano.
Ok, whoa whoa whoa, fermi tutti cosa?! Carino? Un Umano? Quell'umano? C'era decisamente qualcosa che non gli stava funzionando nel cervello. Erano ottocento anni che non trovava un Umano - o qualsiasi altro esponente di qualsiasi altra specie, d'altronde - carino e poi un brivido lo percorse da capo a piedi quando realizzò che il ragazzino stava per scendere dal treno.
Merda.
Ebbe poco tempo per riflettere, troppo poco, ma quando l'Umano si avvicinò alle porte, Ryu scattò in piedi e sgomitando si fece strada tra la folla e per un pelo fu fuori, all'aria aperta.
Il vento lo schiaffeggiò come a volergli chiedere se fosse scemo o cosa, ma poco importava, il suo cervello non stava funzionando in quel momento.
Sbattendo le palpebre si voltò a guardare il ragazzo, un ragazzo normale, banale, noioso. Odorava come qualsiasi altro Umano, sangue misto a sudore misto a feromoni che si percepivano appena, ma per qualche ragione era buono, quasi familiare; lo riportava nella sua mansarda, dove poteva starsene al sicuro a leggere i suoi manga hentai, i libri Young Adult che andavano tanto di moda, a guardare annoiato video e foto di cani e gatti e draghetti e piccoli Centauri che appena nati iniziavano a muovere a stenti i loro primi passetti nel mondo. Che tenerezza.
Aprì la bocca, la richiuse, la riaprì di nuovo e poi decise di piantarla di comportarsi come un pesce.
Deglutì a fatica.
"Ehi," disse.
Avrebbe fatto meglio a starsene zitto.
no subject
Il tizio era completamente coperto da capo a piedi, il cappuccio in testa e gli occhiali da sole sul naso, e Connor restò a guardarlo un po' sbigottito, non tanto dalla giacca gialla (dove diamine l'aveva pescata?) ma dal suo aspetto generale – il viso nascosto, la pelle bianca, i canini che spuntavano dalle labbra esangui.
Era un Vampiro. Un Vampiro. Un brivido di paura attraversò Connor da capo a piedi. Perché un Vampiro se ne andava in giro di giorno? Perché proprio questo giorno? E perché l'aveva seguito?
Possibile che...?
Connor si guardò intorno. Il binario era deserto, ovviamente. Era solo con il Vampiro.
Connor non aveva pregiudizi verso altre Specie, ovviamente, ma lo sapevano tutti che i Vampiri erano pericolosi per gli Umani, e dal modo in cui lo guardava gli sembrava evidente che questo Vampiro in particolare avesse proprio in programma di fare colazione col suo sangue.
Connor fece un passo indietro e infilò la mano in tasca, cercando il cellulare, anche se sapeva che era tutto inutile. Giusto il tempo di comporre il numero delle emergenze, e il Vampiro avrebbe finito con lui e si sarebbe dileguato.
Connor chiuse gli occhi, rassegnato. Forse era stato un bene non incontrare la sua Anima Gemella, dopotutto.
no subject
Gentile, vaffanculo anche a te!
Ok, no, questo non andava bene. D'altra parte l'idiota della situazione era indubbiamente lui, quindi cercare di rimediare un po' di dignità in quel momento non era affatto un piano da scartare.
Ryu stirò le labbra, accennando un sorriso poco convinto, poco convincente e probabilmente anche un po' inquietante - mai stato bravo a sorridere, e negli ultimi tempi fare le prove davanti allo specchio era diventato un tantinello inutile, non so se mi spiego.
Ma doveva almeno provarci, giusto per non fare la figura del coglione.
"Scusa, ti ho spaventato?"
no subject
Gli sembrò che la sua vita gli passasse davanti agli occhi, dai piccoli successi dell'infanzia alla tranquillità dell'età semi-adulta verso cui stava entrando - e in cui probabilmente non sarebbe mai entrato, ora.
chiuse gli occhi, preparandosi alla fine con tutta la dignità che gli restava in corpo, pensando che quello che sarebbe rimasto della sua memoria sarebbe soltanto stato un necrologio e un titolo funebre su un giornale, ma poi il Vampiro parlò e Connor rimase di sasso.
"Scusa, ti ho spaventato?"
Connor sbatté le palpebre e aprì la bocca per parlare, invano. Che strano approccio era, quello? Aveva letto che i Vampiri circuivano le vittime in modo elegante e suadente, ma la Creatura che aveva davanti in quel momento non era esattamente alcuna delle sue cose.
Possibile che, in fin dei conti, non volesse divorarlo?
"Ehm," tentò di far uscire la voce. "No, no, figurati... Mi hai solo colto di sorpresa." Ridacchiò. Doveva andarsene, gli diceva la sua testa, ma qualcosa in lui lo tratteneva lì, come un filo che gli usciva dalla pancia – e pensò vagamente che forse era così che si sarebbe dovuto sentire nel momento in cui avesse visto per la prima volta la sua Anima Gemella.
Un pensiero lo paralizzò. Aveva visto quel tizio in metro, seduto poco più in là, appena era salito sul treno.
Possibile che...
"Quanto manca al tuo Orologio?" gridò.
no subject
Come d'abitudine mandò a cagare la vocina e si schiarì la voce.
"Sono quasi le otto, perché?"
no subject
Deglutì rumorosamente e osservò la Creatura tirare fuori il cellulare dalla tasca ed esaminarlo, prima di sollevare di nuovo il capo verso di lui e comunicargli che erano quasi le otto - ora per cui lui sarebbe dovuto essere ormai a lezione o, meglio, con la sua Anima Gemella.
Connor annuì rapidamente, guardandosi attorno. La voce dell'altoparlante comunicò che il prossimo treno sarebbe presto arrivato in stazione. Questo lo rassicurò. Probabilmente non sarebbe morto lì.
"No, niente," biascicò. "È che sono un po' in ritardo quindi..." lasciò in sospeso la frase, sperando con tutto il cuore che la Creatura decidesse di lasciarlo stare. Dopotutto, lui aveva dei piani, non poteva stare lì alla stazione sbagliata a perdere tempo.
no subject
Forse doveva semplicemente lasciar perdere, risalire sul treno, andare a fare qualunque cosa dovesse fare, riprendere il treno e tornarsene a casa giusto in tempo per farsi una dormita decente, per una volta tanto.
Già, forse doveva fare davvero così, ma appena l'altoparlante annunciò che un nuovo treno era in arrivo gli prese il panico: semplicemente, non voleva perderlo. Non esisteva una spiegazione razionale a quell'impulso che sentiva, ma il suo stomaco, un po' in subbuglio, per la verità, si contorceva alla sola idea di andarsene e di lasciar perdere.
Fu di scatto, quindi, quando allungò la mano e la strinse attorno al braccio magrolino dell'Umano.
"Verresti a bere qualcosa con me?" Disse, e per la prima volta non si sentì un totale idiota.
Strano.
no subject
Non era paura. Non era panico. Era caldo, invece, invitante, e per un secondo Connor si chiese se magari il Vampiro non lo stesse ipnotizzando - ma sentiva dentro di sé che avrebbe potuto dire "no"; non lo stava condizionando: era una domanda sincera a cui spettava una risposta sincera.
Connor ripensò al treno, alla propria Anima Gemella spersa chissà dove, eppure ora non gli importava più come dieci minuti fa, non sentiva più il panico di dover agire: poteva permettersi un caffè con un tizio spaventoso che l'aveva abbordato su una banchina della metro.
Niente di tutto questo era da lui, eppure questa volta non esitò quando gli disse: "Okay. Vada per il caffè."